Tratto da “The Hour of God” di Sri Aurobindo – Traduzione italiana di Paola Bertoldi
Lo Yoga supermentale è al tempo stesso un’ascesa verso Dio e una discesa della Divinità nella natura incarnata.
L’ascesa si può ottenere soltanto con l’aspirazione dell’anima, della mente, del vitale e del corpo, un’aspirazione potente e totale verso l’elevazione; la discesa avviene solo quando l’intero essere invoca con tutto sé stesso il Divino infinito ed eterno. Se l’invocazione e l’aspirazione esistono o nascono e crescono fino ad impossessarsi dell’intera natura, allora e solo allora sono possibili l’elevazione e la trasformazione sovramentali.
L’invocazione e l’aspirazione sono solo requisiti di base; devono esserci anche come loro conseguenza un’apertura dell’intero essere al Divino ed una resa totale. L’apertura è un allargarsi dell’intera natura a tutti i livelli ed in tutte le sue parti per accogliere in se stessa senza alcun limite la più vasta Coscienza divina, Coscienza che già sovrasta, sostiene ed ingloba l’esistenza mortale e semicosciente.
Nel ricevere non ci deve essere alcuna incapacità di contenere, nessuna incrinatura del sistema, della mente, del vitale, dei nervi e del corpo a seguito dello stress indotto dalla trasformazione. E’ necessaria una ricettività infinita, una capacità crescente di sopportare l’azione della Forza divina sempre più insistente e forte. Senza tutto ciò non è possibile fare nulla di grande e duraturo; lo Yoga sfocerà in una rottura, in un rallentamento inerte o in un arresto invalidante e disastroso di un processo che deve essere assoluto ed integrale per non fallire.
Ma dato che nessun sistema umano dispone di una ricettività infinita e di una capacità infallibile, lo Yoga supermentale può avere successo solo se la discesa della Forza Divina aumenta il potere personale e pareggia la forza dell’essere che riceve con la Forza che scende dall’alto per agire sulla natura di colui che riceve.
Ciò è possibile solo se da parte nostra c’è un abbandono progressivo dell’essere nelle mani del Divino; è necessario un assenso totale ed immancabile, una volontà coraggiosa di lasciare che il Potere Divino faccia in noi tutto ciò che è necessario per il lavoro da compiere. L’uomo non può con il suo solo sforzo superare la propria umanità; l’essere mentale non può da solo, senza alcun aiuto, divenire lo spirito supermentale. Solo la discesa della Natura Divina può divinizzare il ricettacolo umano, perché i poteri della nostra mente, del vitale e del corpo sono costretti dai loro limiti e per quanto possano innalzarsi o espandersi non possono oltrepassare i limiti naturali. Ad ogni modo, l’uomo mentale può aprirsi a ciò che lo trascende ed invocare la discesa della Luce, della Verità e del Potere supermentali perché compiamo in lui ciò che la mente non può fare. Se la mente non può da sola superare se stessa, la supermente può discendere e trasformarla a propria immagine.
Se con il consenso sagace e l’abbandono vigile dell’uomo il Potere supermentale ha il permesso di agire in accordo alla propria intuizione profonda ed alla propria capacità di plasmare, produrrà lentamente o improvvisamente la trasformazione divina della nostra natura caduta ed imperfetta.
La discesa della Forza, il lavoro, non è priva di cadute rischiose o di pericoli. Se la mente umana o il desiderio vitale si impossessano della forza che discende e cercano di usarla in accordo alle loro idee fallaci e limitate o ai loro impulsi egoistici ed imperfetti, – è ciò è in certa misura inevitabile finché l’essere inferiore non ha imparato qualcosa sul sentiero che conduce alla natura immortale,- non si possono evitare intoppi, deviazioni, ostacoli ardui ed apparentemente insuperabili, ferite e sofferenze ed anche la morte o la caduta totale non sono impossibili. Solo quando la mente, il vitale ed il corpo avranno appreso ad abbandonarsi totalmente al Divino, il cammino dello Yoga diventerà facile, diretto, rapido e sicuro.
E deve trattarsi di un abbandono ed un’apertura diretti unicamente verso il Divino e non verso qualcos’altro. Infatti è possibile per una mente ottusa o per un vitale impuro arrendersi a forze ostili e antidivine scambiandole per il Divino. Non c’è errore più catastrofico. Perciò il nostro abbandono non deve essere passività cieca ed inerte a qualunque influenza, ma una resa sincera, cosciente, vigile e rivolta all’Uno ed al Supremo soltanto.
L’abbandono del proprio essere alla Madre infinita e divina, per quanto difficoltoso, rimane l’unico nostro mezzo efficace ed il solo rifugio sicuro. Abbandonarci a Lei significa che la nostra natura deve divenire un suo strumento e l’anima simile ad un bimbo tra le braccia della Madre.
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